Hugo Race in "THE MEROLA MATRIX"

di Gianni Valentino

Domenica 19 settembre 2004: San Gennaro per l'ennesima volta, e nel Duomo di Napoli il sangue si scioglieva già in mattinata. Contemporaneamente, al Porto, fra biglietterie, segnaletiche di parcheggio e container, un centinaio di facchini, attrezzisti e comparse, si davano da fare - chi sudando chi no - per allestire il palcoscenico sul quale il miracolo sarebbe avvenuto anche di sera.
Mario Merola torna a cantare live. Festeggia con un sacco di amici/colleghi/discepoli (per esempio Mauro Nardi, Luca Sepe con i Corleone, Tullio De Piscopo, Peppino Di Capri, Valentina Stella e Gigi D'Alessio) i suoi 70 anni di vita, i 45 di successi e i 40 di sposalizio. Tutta Napoli sa che alle 21 inizia il Merola Day. Ed è li in pellegrinaggio.

Ma Hugo Race non c'era. L'uomo australiano che pochi mesi fa ha compiuto la magia, portando nel mondo underground e non la parola, la cadenza, la pancia pulsante del re della sceneggiata, è assente. Di sicuro Mariano Piscopo, l'organizzatore, non sa nemmeno chi sia.
Hugo Race è uno dei Bad Seeds di Nick Cave, ed è titolare dei progetti Transfargo e True Spirit, tanto per citarne un paio. La sua missione, semmai impertinente, dalla costanza inconsueta, è stata comporre The Merola Matrix: un cd pubblicato dalla piccola e sorprendente etichetta sarda Desvelos e distribuito dalla Audioglobe, nel quale il musicista e produttore ha riassunto 16 tracce spericolate che rimescolano il canto di Merola e lo esaltano in chiave acid-electro, per così dire avant, va. S'è messo d'impegno, e dopo un'esperienza datata 2000, sperimentata nel quartiere Vucciria di Palermo, ha deciso che bisognava andare oltre.
<Quattro anni fa fui convocato a Palermo per realizzare una specie di installazione di musica concreta sul terrazzo di un magnifico palazzo del 1700>, ci racconta. <Avevo a mia disposizione una radio, e decine di strumenti pazzeschi, con i quali manipolavo suoni e onde magnetiche. A un certo punto della performance una serie di giovinotti siciliani ci ha raggiunto in soffitta: erano incuriositi dalla novità ma altrettanto spazientiti.
Quel tipo di rumorismo dance di frontiera era qualcosa di poco familiare per tutti loro. Così mi hanno regalato un nastro con le canzoni di Mario Merola. Io l'ho provato subito, e appena ho sentito la sua voce ho capito che stava per accadere un evento stellare.
Ho fatto ricerche per possedere tutti i vinili di Merola, ho visto film come "Napoli…la camorra sfida, la città risponde" (1979), nei quali lui corre in macchina per i quartieri partenopei, spara, piglia a schiaffi persone di poco onore, e ho cominciato a comporre quest'album-decica al suo mito. Dopodiché il mio amore s'è ampliato per tutta la cultura dell'Italia del sud, Sicilia specialmente
>.

Ma il 19 settembre al Porto di Napoli non c'è stato nessun dj set. Sai che bordello, sennò?
The Merola Matrix si abbandona al trattamento di brani intitolati Schippa ciao, costruito su un memorabile galoppo di arpa digitale e di loop del verso "tu faje 'na brutta fine" (tolto da uno dei film dell'interprete nato nel quartiere Maddalena, ndr). Estorce all'antologia della canzone di giacca napoletana "Guapparia", facendola diventare semplicemente Guappa grazie alla geometria schizzata di uno scacciapensieri house, violini disperati che citano "Core 'ngrato", e cattivissime sensazioni noir.
Ma quest'opera di Hugo Race ha un potere sottinteso che forse giungerà tardi alle generazioni di poi. Ha a che vedere con la comprensione dei fenomeni di identità e dipendenza di Napoli città, prim'ancora che Nino D'Angelo diventasse il divo di jeans e magliette, 99Posse i leader della lotta sociale, Almamegretta i maestri del dub multirazziale e Gigi D'Alessio la versione meridionale di un pop sguaiato e noioso modello Pooh.

Sedendo nella cucina di Mario Merola si ha il privilegio di confrontarsi con un certo tipo di eterno, perché, come lui stesso sbotta a inizio intervista, <Mario Merola è comm' 'o puorco: nun se jetta maje niente, è 'o vero?!>.
Nel corridoio ci sono gli ori ricevuti ai concerti da matrimonio, i busti tributo da venerazione, i quadri dalle cornici mastodontiche a riempire le pareti, fino a non lasciare spazio alle lucertole casalinghe. <Hugo Race nun saccio manco chi è. Ha avuto coraggio, devo ammetterlo, perché solo un pazzo può pensare di pigliare le mie canzoni e farle diventare quello che sono adesso…m'ha astrignuto, m'ha allargato… . Ma che musica è chesta ccà!?>.
Zappa, traccia n.9, è jungle saporitissima, allora. Uno spartito futurista che merita l'Archivio Digitale della Canzone Napoletana più di tantissime altre ovvietà attuali. Tenetelo tutti a mente. 'O zappatore nun s''a scorda 'a mamma…

 
 
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