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Boogeyman
l'uomo nero di Stephen Kay, con: Barry Watson, Emily
Deschanel, Lucy Lawless, Skye McCole Bartusiak
A quanto ricordo l'uomo nero si porta via i bambini che
non vogliono fare i bravi. Invece il cattivone di Boogeyman
non fa distinzioni di età: grandi e piccini per lui
non fanno differenza. E' solo una delle tante incongruenze
che insieme a dialoghi di una banalità sconcertante,
ad un finale ridicolo (nel senso negativo del termine) e
ad una recitazione davvero di basso livello (d'altronde
l'attore protagonista viene da "Settimo cielo")
rendono Boogeyman un film davvero mediocre. Per non parlare
delle troppe citazioni, da "Il Giorno degli Zombi"
a "Psycho". Dopo "They, incubi dal mondo
delle ombre" (che comunque aveva una sua dignità,
almeno nel finale) e "Al calar delle tenebre"
non si sentiva davvero il bisogno dell'ennesimo film sul
mostro che esce dal buio e che perseguita il protagonista
sin dall'infanzia. Solo in alcuni momenti si sobbalza sulla
sedia ( però è facile spaventare con porte
che sbattono e volti inquietanti che compaiono all'improvviso)
ma è davvero troppo poco per consigliarvi la visione.
Vabbè che è estate e non c'è granchè
di decente in giro, ma io investirei i miei soldi in qualcos'altro.
Passate oltre!
Michele Lo Presti (01/08/2005)
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The
pusher di Matthew Vaughn, con: D. Craig, T. Hardy,
J. Foreman, S. Hawkins, B. Gorman
La trasposizione cinematografica creata dal regista Matthew
Vaughn dal riuscito libro di Connelly "L'ultima partita"
si prende qualche libertà, modificando tratti e scene,
riuscendo a rendere con buoni risultati l'atmosfera di un
testo che resta comunque di altro spessore: a rammendare
le falle della pellicola c'è il volto azzeccato del
protagonista, ritratto dall'espressione fredda di Daniel
Craig, tra i papabili per il prossimo volto di 007.
Non resta, a nostro parere, che sollecitare la vostra immaginazione
attraverso lo stile rapido e ironico dello scritto, per
poi assaporare il modus operandi del regista. Non un brutto
film, con Vaughn che lavora di cesello aggiungendo e limando
la materia letteraria con immagini e caratterizzazioni tipiche
del linguaggio cinematografico: alcune scene sono cambiate,
con aggiunte e modifiche, oltre al finale completamente
reimpostato. Il film è ulteriore conferma della abusata
teoria del pregiudizio letterario: quante immaginazioni
visive conoscete che abbiano realmente rispecchiato le vostre
aspettative rispetto a un libro amato e vissuto?
Alfonso Tramontano Guerritore (25/07/2005)
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Connelly
L'ultima partita Einaudi
La parabola sulla vita vista come una costante, dura e incerta
scalata di merda, dalle indigeste accumulazioni via esofago
fino alle sommità dove finalmente arriva l'aria:
non è una delle massime più innovatrici, ma
chiarisce perfettamente, in modo degno di rimanere nei nostri
ricordi, l'atmosfera che si respira nel romanzo di Connelly
"L'ultima partita".
Il nostro uomo è uno spacciatore di coca implicato
in un ultimo favore al suo referente: deve trovare la figlia,
sbandata e un po' troppo alternative, di un facoltoso magnate
in affari col suo boss.
La malavita londinese non manca di coinvolgere la lettura
nel gergo malfamato e divertente che si nutre dei vicoli,delle
strade e dei micromondi dell'inghilterra contemporanea.
A costituire il senso del libro è il viaggio compiuto
dal protagonista nei meandri di se stesso, con un costante
processo interiore che ci parla in prima persona della sua
intenzione di abbandonare il mondo dello spaccio, tra bilanci
economici e personali,episodi assurdi e relazioni più
o meno concretizzate. Tra dialoghi sulla inevitabile e incombente
legalizzazione degli stupefacenti e parabole sulla natura
imprenditoriale dell'attività di smercio della droga,
siamo al centro di una complessa rete sociale che comprende
infidi personaggi da suburbia, trafficanti d'alto rango,
insospettabili emuli di scarface e consumatori d'ogni sorta.
I lustrini delle discoteche più in, personaggi dello
spettacolo, drogati di strada, assassini e mafiosi, tutti
insieme senza forzature nel complesso mondo del nostro spacciatore,
dotato di una fidata squadra personale che lo aiuta a tenere
con accuratezza tutti i contatti necessari al suo lavoro
"d'imprenditoria". Memorabile, a prescindere,
il tiro a bersaglio del killer giunto in treno da Liverpool:
prima di giocherellare col cellulare per distrarvi dalla
noia, ci penserete due volte.
Alfonso Tramontano Guerritore (01/08/2005)
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Hunter
S. Thompson Hell's Angels (ShaKe)
Prima che nel 1971 Hunter Stockton Thompson decidesse di
scrivere dell'American Dream e di decretarne la morte col
suo capolavoro "Paura e disgusto a Las Vegas",
il gonzo journalist aveva passato un anno a seguito di quello
che per un certo periodo fu l'american nightmare: gli Hell's
Angels. E il resoconto di questo viaggio è stato
da poco ristampato dalla ShaKe ("Hell's Angel",
pp. 272, € 16, trad. Anna Mioni), rendendo omaggio
a un genio che il 21 febbraio di quest'anno ha dato atto
all'ultimo scandalo delle sua vita, togliendosela con un
colpo di fucile.
Meno allucinato e psichedelico del viaggio di Paura e delirio,
in questo reportage Thompson fa i conti con un periodo della
storia americana, dalla paura indotta dall'autorità
costituita, ai primi festini allucinati a casa del guru
Ken Kesey fino alle manifestazioni pacifiste anti-Vietnam.
Il tutto, però, osservato da una postazione particolare,
ovvero le moto, i festini e la strada di quei motociclisti
che sconvolsero per qualche anno la vita tranquilla degli
americani, quelli delle vacanze del fine settimana, quelli
dei piccoli paesi, quelli dell' andiamoci-a-fare-una-birra.
Fondati negli anni '50, questa banda di motociclisti (fuorilegge,
come pian piano li definirà Thompson) ebbe il suo
periodo di notorietà negli anni a cavallo tra i '50
e i '60, quando una serie di reati (tra cui molte accuse
di stupro) e il dossier Lynch, li buttarono sulle prime
pagine dei quotidiani americani più importanti.
Quella, però, fu anche la fine. Violenze, risse,
stupri (non sempre accertati) hanno caratterizzato la vita
di questi "perdenti emarginati, falliti e scontenti",
reietti persi nell'alienazione di una società "alla
deriva e confusa con se stessa". Ma anche inaspettati
atti di generosità e una caciara bonaria che in fondo
quasi ce li fa apparire meno burberi. Un viaggio nella parabola
della vita di questi motociclisti, che si conclude, praticamente,
con il funerale di uno dei loro capi, ma che in realtà
è distrutta dalla loro vanità, dalla voglia
di apparire, di leggere i propri nomi sul giornale, facendo
la fine "delle prime donne, divenendo una controfigura
sbiadita di quel famigerato mito affermatosi a cavallo tra
i '50 e i '60", " erano vere celebrità
- continua lo scrittore americano - senza più mondi
da conquistare".
Francesco Raiola (11/07/2005)
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