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SONGS
WITH OTHER STRANGERS
E' un network atipico questo: 11 musicisti da 4
paesi diversi, una collaborazione accattivante. Un esperienza
di musica e comunità basata su affinità e passioni
da condividere con persone per cui suonare vuol dire la stessa
cosa.
Abbiamo incrociato la loro rotta al Teatro Mediterraneo, in occasione
della terza data della rassegna kaleidoscope|01.
Ne parliamo con alcuni dei protagonisti: Manuel Agnelli,
Cesare Basile e Hugo Race (della super-band fanno
parte anche John Parish; Jean Marc Butty dei belgi
Venus; Stef Kamil Carlens - già bassista dei dEUS,
poi fondatore dei Zita Swoon; Giorgia Poli; Roberta
Castoldi; Marcello Sorge e Marta Collica).
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Com'è
nato il progetto che state portando in giro?
Cesare Basile: E' stata un idea di Marta Collica, ci
siamo trovati per caso a suonare a Catania, poi ci siamo ritrovati
a Villa Arconati, a Milano, dove anche Manuel si è trovato
coinvolto, ci siamo divertiti e ci siamo detti: "dobbiamo
rifarlo", e da li la Mescal ha pensato di far diventare
tutto questo un tour.
Quanto c'è del Tora!Tora! nello spirito di quest'esperienza?
Manuel Agnelli: Sono due cose completamente diverse.
Quello rappresenta una scena, mentre qua siamo un gruppo di
musicisti con una storia personale molto diversa l'una dagli
altri, ma con la stessa sensibilità musicale. Nel Tora!Tora!
non c'è un insieme di gruppi con la stessa sensibilità
musicale, c'è piuttosto la stessa attitudine verso la
musica, poi in realtà, pur suonando cose molto diverse,
è stato facile collaborare.
Come si è arrivati alla definizione definitiva del
cast così com'è? C'è qualcuno sugli altri
che ha operato una scelta?
Hugo Race: Mah... noi suoniamo. Non c'è un direttore
del gruppo. Abbiamo i nostri spazi, ma è piuttosto l'anima
del gruppo a prevalere.
C.B: Diciamo che sappiamo quando stare zitti!
M.A.: La sensibilità si trasforma anche in complicità
a questo punto. All'interno del gruppo ognuno sa quando è
di troppo. Non è una questione di 30% a testa, è
una questione di capire quando funziona e quando non funziona.
Se la musica non ha bisogno di me io vado fuori dal palco, e
questo è bellissimo secondo me.
C.B.: Ognuno di noi è al servizio delle canzoni
dell'altro, è questa la regola.
Dietro questo live ci sono molte ore di prove, o vi lasciate
andare all'improvvisazione?
C.B.: Non è che improvvisiamo, i pezzi sono scritti,
è poi la complicità che ci porta a suonare lo
stesso pezzo insieme. Sappiamo che ogni pezzo che suoniamo ha
una sua struttura, e ci pieghiamo a questa struttura.
M.A.: Però abbiamo provato poco, perché
sono convinto che le nostre affinità ci consentono di
suonare molto bene insieme senza provare tanto.
C.B.: Ci sono pezzi che suoniamo direttamente durante
il concerto, che magari abbiamo suonato singolarmente, magari
intorno al fuoco, oppure mai. In questo senso lo spettacolo
è improvvisato, non nel senso classico del termine, perché
è la canzone che comanda.
Non è quindi un' improvvisazione in senso jazzistico....
M.A.: nooo, figurati.
C.B.: Ma c'hai visti?!
Così, rispetto al live classico, ingessato, l'interpretazione
può rimanere più fresca.
M.A.: C'è una regola che abbiamo stabilito:
quella di provare ogni sera almeno un pezzo nuovo. Così
da mantenere la concentrazione al massimo, sempre. Questo ci
consente di mantenere un'intensità all'interno della
canzone.
E per quanto riguarda l'esecuzione, come vi regolate?
C.B.: Nel modo più semplice del mondo: qualcuno
comincia a suonare, magari qualcun altro lo segue, ci si domanda:
"tu lo sai sto pezzo?"..."e tu?" e si suona.
Anche le canzoni dei nostri stessi repertori sono venute fuori
assecondando i gusti degli altri. Ci siamo chiesti a vicenda
quali canzoni ci piaccia suonare.
Un
esperienza che accomuna tutti e tre: aver fatto una cover di
De Andrè, come vi siete approcciati ad una figura così
importante per la musica italiana?
M.A.: Io con grosso rispetto, ma se non si è convinti
di fare qualcosa soprattutto per se stessi, allora è
inutile farla. E' brutto fare un tributo a qualcuno, se questa
cosa poi non diventa anche tua a livello musicale, poi quando
cerchi di farla diventare tua un po' d'arroganza è chiaro
che ce l'hai, un po' di presunzione. Ma o fai così, o
altrimenti è inutile farla.
C.B.: Non ripetere pedissequamente quello che stai interpretando
non vuol dire non avere rispetto per quello che stai suonando,
anzi.
H.R.: Chiaramente per me quella di De Andrè non
era una figura così ingombrante, perchè non avevo
mai ascoltato nulla di lui prima di suonare con Cesare per questo
tributo. Forse sono stato più libero.
Come per il tributo a Mario Merola! Che percezione hai tu
della scena musicale italiana?
H.R.: Mi rendo conto, anche tramite esperienze come questa,
che qualcosa sta cambiando nella musica italiana.
Si è consapevoli del valore di punto di riferimento
che si ha per gli artisti di un'intera generazione?
M.A.: Si, ma, sinceramente, questa cosa io la vivo per
me, perchè è importante per me confrontarsi con
dei musicisti internazionali che possano avere qualcosa da insegnarmi,
per cui l'ho fatto per crescere come musicista. Non per chissà
quale scopo, ma sono d'accordo con Hugo che queste occasioni
sono importantissime. Fare musica italiana con musicisti internazionali
fa vedere agli altri musicisti che questa cosa è possibile,
è bella.
A proposito, prevedete anche date all'estero?
C.B.: Ormai la barca è stata varata, tanto vale
andare.
M.A.: Tanto di pressioni non ne abbiamo,anch'io se qualche
volta vorrei dire "dovremmo fare..." mi ripeto: "calma",
"easy"...
C.B.: Salire su un furgone non costa tanto. Basta aprire
lo sportello, e avere voglia di farlo.
A proposito di collaborazioni, Manuel, com'è stato
lavorare con Greg Dulli?
M.A.: Mi sono adattato ad una band già esistente
suonando le loro canzoni come volevano loro, non è stato
difficile, in più mi sono divertito moltissimo. Qui il
discorso è molto più complesso, perchè
le canzoni non sono come le vuole qualcuno, ma come pensiamo
di volerle tutti noi.
Dulli ha anche prodotto l'ultimo disco degli Afterhours.
M.A.: E' stata un' esperienza che valeva la pena fare,
come anche Cesare aveva fatto con John Parish e lo stesso Hugo.
Se non si è abbastanza scemi ci si rende conto che bisogna
imparare ancora. Ho prodotto tutti i nostri dischi, ma mi sono
reso conto che sarebbe stato stupido andare avanti così,
dovevo imparare qualcosa da qualcun'altro, per cui in questo
disco abbiamo lavorato con Greg ed abbiamo imparato da lui.
John ha missato metà del disco e missa in modo completamente
diverso da come avrei fatto io, e questa sono cose che ti fanno
crescere tantissimo.
C.B.: Poi è proprio questo affidarsi al talento
e all'esperienza di altri musicisti che spesso viene meno.
M.A.: Senza rischiare, facendo tutto in modo comodo,
non riesci ad arrivare a quel quid in più.
Il rapporto con gli altri musicisti è anche il rapporto
con i musicisti del passato; com' è stato travestirsi
dagli Area?
M.A.: Molti potrebbero avere dei timori reverenziali,
il fatto che gli Area fossero un gruppo di un certo tipo, che
ha suonato in un certo clima. Oltre al fatto non saremmo stati
tecnicamente capaci di riprodurre i loro brani. Ma non è
questo il punto: non è una partita di tennis ne un esercizio
ginnico. Se riesci a dare un senso a quest'esperienza bene,
se non ci riesci, male, anche se l'esercizio è venuto
perfettamente.
Anche l'approccio alla politica è diverso....
M.A.: in quel periodo se non eri "politico",
non eri niente, al massimo eri per San Remo.
C.B.: Non c'era un'alternativa all'alternativa.
M.A.: Poi gli Area erano politici alla loro maniera,
erano delle mosche bianche, molto criticati anche nel movimento.
In questo mi ci riconosco, perchè non sono schierato
con i dogma dell'alternativo in Italia.
C.B.: Io in questo sono molto Buckovskiano: "Occuparsi
di politica è come cercare di metterlo in culo a un
gatto"!
M.A.: Potrebbe essere piacevole...almeno per il gatto...
C.B.: Secondo me farebbe piacere anche a te! [risa] ...
Il che non significa non avere delle idee.
M.A.: Ho una responsabilità quando dico delle
cose, ma non sono un politico, quindi le cose che dico corrispondono
alla mia visione del mondo, ma citare gli slogan per cui la
sinistra è meglio della destra sarebbe davvero grottesco.
Che poi nel mio privato faccia le mie scelte politiche (peraltro
non lascio nascoste a nessuno), ma sul palco ho la responsabilità
di essere davvero sincero.
C.B.: Poi se sei ti schieri comunque, anche non parlandone
direttamente.
M.A.: esatto, anzi vorrei fare questa domanda a Hugo:
pensi che fuori dell'Italia il fatto per un musicista di avere
un ruolo politico sia davvero importante?
H.R.: No, però è importante per la propria
persona.
M.A.: Grazie Hugo.
PasQuale
Napolitano
foto di : Angelo Pesce, Daniele Lama
(Thanks to Luca Mauro Assante)
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