Teenage Fanclub
"It Smells Like Teen Spirit"

E' un sonnacchioso pomeriggio primaverile. Dall'altro capo del telefono, Raymond McGinley col suo tipico accento scozzese, sta parlando del gruppo di cui fa parte da ormai ben quindici anni: i
Teenage Funclub. Il quartetto di Glasgow, una vera istituzione del pop rock chitarristico anglosassone, è alle prese con la promozione di "Man-Made", ennesimo capitolo della loro invidiabile carriera. Se il consenso di massa, purtroppo, non è mai arrivato, McGinley e i suoi soci (Norman Blake, Gerard Love, Francis Macdonald) hanno sempre goduto del massimo rispetto tra i cultori (siano essi semplici appassionati, giornalisti o esimi colleghi come i Nirvana) della buona musica sparsi per il globo.
Il perché è racchiuso in una manciata di dischi, compreso l'ultimo, quasi sempre ricchi di verve melodica e trasudanti di arrangiamenti dal gusto modernamente "citazionista" (musica in "tre-b", la loro: Beatles, Byrds e Big Star). Una ragione più che valida affinché Freak Out approfondisse la loro conoscenza:


di Luca M. Assante

Cosa prova un teenager come te ad essere diventato un uomo (gioco di parole tra il nome del gruppo e il titolo del nuovo album "Man-Made", ndr.)?
Ho semplicemente accettato il fatto! (scoppia a ridere,ndr.) Comunque preferisco di gran lunga essere diventato un uomo che rimanere un teenager!!! (ennesima fragorosa risata).
Scherzi a parte, ora che siete adulti, non vi sentite a disagio ad avere ancora un nome del genere?
Quando abbiamo messo su il gruppo, eravamo molto giovani. All'epoca l'unico vero teenager era Brendan (O'Hare,ndr.), il nostro primo batterista allora diciannovenne, che si fece un sacco di risate quando gli comunicammo il nome che avevamo scelto per la band. Alla fine ci diverte avere un simile nome. E' così ridicolo! Gli unici momenti di vero imbarazzo, capitano allorché siamo ad esempio in taxi e il conducente ci chiede che lavoro facciamo e noi rispondiamo che siamo in una band. Allora lui vuole sapere il nome del gruppo e noi diciamo: Teenage Fanclub. E il tipo ribatte "Certo, sembrate proprio dei teenager, come no…".
Due anni fa avete pubblicato una compilation retrospettiva, "Four Thousand Seven Hundred and Sixty-Six Seconds". Pensi che quella raccolta abbia segnato la fine di un'epoca per voi?
Sicuramente. Diciamo che volevamo fare il punto della situazione sul nostro percorso artistico. Dopo quel disco, il nostro unico scopo è stato quello di rimetterci in discussione come gruppo e cercare nuove prospettive da seguire.
Come mai avete deciso di registrare il nuovo album a Chicago con John McEntire (il leader dei Tortoise) in veste di produttore?
Gerard, quando suonava nei Pastels, già aveva lavorato con John per la colonna sonora del film "The Last Great Wilderness ". Stavamo valutando chi chiamare a produrre il disco e fu allora che Gerard propose il suo nome. L'abbiamo contattato e parlandoci, abbiamo concluso che fosse la persona adatta. E' stato John a suggerirci di andare a registrare nel suo studio a Chicago (i Soma Electronic Music Studios,ndr.). Dal nostro punto di vista , ci stimolava assai l'idea di cambiare ambiente e di essere lontani dalla solita routine.
A parte John, so che a Chicago, vi siete avvalsi anche dell'aiuto di Jeff Tweedy dei Wilco…
Pur essendoci portati appresso un sacco di chitarre, ad un certo punto, avevamo bisogno di un'altra chitarra acustica. Così John ha pensato di chiederne una a Jeff che è stato molto carino nel prestarcela. Fra musicisti, spesso, ci si da una mano a livello di strumentazione.
Vi ha mai causato problemi il fatto di avere ben tre songwiters all'interno della band?
Per noi è una cosa normale, ormai sono anni che abbiamo questo modus-operandi. Secondo me è meglio che la responsabilità delle composizioni non ricada su di una sola persona. Così facendo, ognuno riesce a dare il suo contributo in maniera equa e costruttiva. Ciò che ci caratterizza è proprio quest'interazione.
Quali obiettivi vi eravate prefissi nel concepire "Man Made"?
Siamo partiti con l'intento di realizzare un disco ben messo a fuoco e semplice allo stesso tempo. Gli ultimi due album erano pieni di over-dub mentre stavolta cercavamo qualcosa di maggiormente sensuale e ricco di personalità.
Perché avete sentito l'esigenza di creare una vostra etichetta, la PeMa? In futuro, prevedete di pubblicare anche dischi di altri artisti?
All'inizio abbiamo cercato un'etichetta che mettesse in commercio l'album. Andando avanti, però, molte persone dell'ambiente musicale, tipo Alan McGee (l'ex boss della Creation, nota label scopritrice degli Oasis e del cui rooster hanno fatto parte anche i Teenage Funclub,ndr.) ci hanno consigliato di aprirci un'etichetta per conto nostro. Pur con qualche difficoltà, abbiamo seguito il loro consiglio. Attualmente la usiamo solo per i nostri dischi, in futuro chissà.
Negli ultimi anni i musicisti scozzesi, dai Mogway ai Belle & Sebastian fino al clamoroso caso dei Franz Ferdinand, godono di ottima fama internazionale. Voi che siete dei capostipiti della scena nazionale, credete di essere stati dei modelli per queste band?
Al tempo dei nostri esordi, molte band nostre contemporanee, penso ai Jesus & Mary Chain ad esempio, si spostarono a Londra in cerca di maggior fortuna. Noi ci tenevamo ad essere conosciuti anche fuori dalla Scozia ma non volevamo trasferirci lontano da Glasgow. Noi siamo stati la dimostrazione che, pur rimanendo nella nostra città, si poteva avere successo anche a livello mondiale. Nel corso degli anni, molti musicisti hanno acquisito questa consapevolezza, portando soprattutto Glasgow ad essere il centro di una grande rinascita musicale.
Nel 1996 avete suonato in un festival a Glasgow con uno dei vostri eroi musicali: Alex Chilton…
Apprezziamo molto la sua iperattività ed, in modo particolare, gli album che ha realizzato da solista. Da quando aveva sedici anni e suonava con i Box Tops, per passare alla sua avventura con i Big Star (un nome che non gli ha portato granchè bene, visto che ha venduto pochi dischi con loro) fino alla sua carriera solistica, ha sempre continuato a fare le sue cose, considerandosi prima di tutto un artista, desideroso di evolversi ancora oggi. Certamente è un'attitudine che ogni musicista dovrebbe perseguire. Noi cerchiamo di tenere a mente questo suo insegnamento.
Tre anni dopo, invece, avete avuto modo di realizzare addirittura un album, " Words of Wisdom and Hope", con un altro misconosciuto paladino del rock underground: Jad Fair.
E' stata una grande esperienza. Lui era a Glasgow a registrare negli studi di un nostro amico che ci invitò a raggiungerlo lì. Praticamente noi ci occupammo della musica e Jad delle parti vocali. Alcune canzoni videro la luce direttamente in studio. Capitava magari che noi suonassimo qualcosa e Jad prendeva ispirazione dal suo diario di appunti per creare un testo adatto al pezzo. Il tutto è avvenuto in modo spontaneo. Ho davvero dei ricordi bellissimi di quei giorni passati con lui.

 
 
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