Midwest - Whatever you Bring we Sing (Homesleep Records)

Quando nel 2002 sbucarono fuori dal nulla con “Town & Country”, disco di debutto molto interessante ad onta della loro giovane età, i varesini Midwest suscitarono ammirazione ed interesse in molti Paesi europei ed in particolare in Gran Bretagna, dove ora con impegno e fortuna potranno concretizzare facendosi conoscere meglio grazie al nuovo lavoro. Ve li presento: Francesco Scalise (26 anni) suona banjo, basso e mandolino; Paolo Grassi (22 anni) batteria e clarinetto; Francesco Ferretti (24 anni) al piano, organo, synth e trombone; Matteo Gambacorta (24 anni) voce e chitarra.
La loro musica è un country-folk elegante ed autentico, che trasmette entusiasmo, calore, buone vibrazioni, ed è riduttivo inquadrarlo nell’urban folk malinconico tanto di moda in questi mesi; la loro proposta ricorda, è vero, pagine della tradizione rurale americana rivisitata (“Comes a Time” di Neil Young, i Journeymen), ma sa sconfinare anche nel bluegrass più entusiasta stile Doc Watson, o i contemporanei norvegiesi HGH (esemplari canzoni cariche di vita come ‘Odd Fair’, ‘We’re with the Madcap’, e poi ‘Lumpy Sea Divers’ con quello strambo cambio di tempo rag tra una strofa e l’altra: per loro stessa ammissione un omaggio ai Beach Boys più sofisticati di “Smiley Smile”).
Fondamentale nel loro suono l’utilizzo di tuba, trombone e clarinetto, che aiutano moltissimo donando alla musica una sgangherata atmosfera tipo “saloon del Far West” con tanto di scritta “non sparate sui musicisti”...; specialmente il clarinetto qua e là si presta bene come valida alternativa al violino, occupando daltronde la stessa banda sonora ma con quel tocco di calore in più tipico dei fiati; e quando poi, nelle morbide ballate, spuntano davvero violino, violoncello e slide guitar, si finisce nella ortodossia country più tipica, con buoni arrangiamenti ed un cantato romantico che ricorda Tom Petty: ‘Release the Catch’, ‘Magpie on a Wire’, ‘Taillights’.
Nei 35 minuti del disco c’è spazio anche per un pezzo come ‘Chewing her Name’ per farfisa, due moog e xilofono: è chiaro che questi ragazzi non si accontentano delle cose semplici e sono alla ricerca di sonorità sofisticate ed impegnative. Varese si conferma dunque città vitale dal punto di vista dell’indie-music.

Fausto Turi
(18/07/2005)




 
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